La storia del Club Alpino Italiano viene da molto lontano e anche il suo rapporto con al nostra città ha un’ origine altrettanto antica; infatti i primissimi contatti si possono rintracciare fino dall’anno di nascita della associazione stessa. Si tratta di una lunga vicenda, durante la quale Imola e il Club Alpino Italiano hanno intrecciato più volte le loro storie. La Penisola era stata appena unificata e il Regno d’Italia era stato proclamato ufficialmente a Torino il 17 marzo 1861, quando a Londra un gruppo di alpinisti di grande valore decise di dare origine al primo sodalizio alpinistico che la storia ricordi. Nel 1862 fu creato l’Alpine Club inglese; seguito a ruota dalla fondazione di quelli austriaco e svizzero.
Il 12 agosto 1863 Quintino Sella, famoso scienziato e statista piemontese, salì per la prima volta il versante italiano del Monviso, con lui erano Paolo e Giacomo di Saint Robert, Roberto Saracco e alcune guide. Fu proprio durante tale scalata che il Sella e i sui compagni decisero di dar vita anche nel neonato Regno d’Italia ad una associazione alpinistica su modello di quelle inglese, austriaca e svizzera; nacque così l’idea e il progetto del Club Alpino Italiano. Nei mesi successivi seguirono tutte le procedure burocratico amministrative per formalizzarne la fondazione che si conclusero a Torino il 23 ottobre 1863, dove circa 200 fra alpinisti, scienziati e semplici appassionati, mediante la firma dell’atto notarile, diedero vita al Club Alpino Italiano (in sigla CAI). Il promotore Quintino Sella, come è noto, era da lungo tempo amico dell’imolese Giuseppe Scarabelli, illustre studioso, geologo e paleontologo; i due erano accomunati dalla passione per gli studi scientifici e dalla vita politica che li vide attivamente partecipi del Risorgimento italiano. Scarabelli, inoltre, per sua natura e per sua formazione, era aperto al “nuovo”, soprattutto quando si trattava di cose a carattere scientifico.
Quindi non deve fare meraviglia se egli apprese con favore della nascita della nuova associazione e volle subito farne parte. Fin dall’anno successivo, il 1864, egli chiese di essere associato al nuovo sodalizio alpinistico, come testimonia un interessante documento conservato nell’Archivio Scarabelli della Biblioteca Comunale imolese. Si tratta di una lettera con cui il segretario del Club Alpino nazionale comunica al nostro concittadino che “ …. nella seduta della Direzione del 13 maggio 1864 Ella venne ascritta nel novero dei soci di questa Società”. Si può così affermare che Scarabelli fu uno dei primi iscritti al CAI in Italia; sicuramente fu il primo imolese. Erano solo gli albori della nostra associazione, ma già per le vie di Imola risuonava il nome del Club Alpino Italiano! Dal 1863 al 1866 il sodalizio ebbe una sola sede, a Torino; poi nacquero le prime “succursali” che più tardi vennero denominate “sezioni” e che si costituirono in molti centri della Penisola.
Il 1875 vide la nascita della sezione di Bologna. E’ del 15 maggio 1875 una lettera indirizzata a Giuseppe Scarabelli (conservata anche questa nell’ Archivio della Biblioteca Comunale), con la quale gli si comunicava la sua aggregazione al Comitato Promotore della costituenda sezione bolognese. La sezione vide la luce ufficialmente pochi mesi dopo e Scarabelli fu nominato primo presidente. Tale carica fu solo per due mesi e solo a titolo onorario, in attesa che si svolgessero regolari elezioni e che si insediasse il primo effettivo Consiglio Direttivo, ma comunque si può dire che un imolese è stato il primo presidente della sezione CAI di Bologna. Giuseppe Scarabelli non fu però l’ unico studioso imolese che ebbe contatti con il CAI nei primi tempi di vita dell’associazione; ci fu anche il meno conosciuto Sangiorgi.
Domenico Sangiorgi, nato nel 1870 a Cotignola e trasferitosi fin da bambino a Imola nella casa della famiglia materna, si laureò all’Università di Parma in Scienze Naturali nel 1896. Da subito il suo interesse andò alla geologia, alla paleontologia e alla glaciologia, tanto che Luigi Marson, illustre glaciologo, lo avviò nel 1907 allo studio dei ghiacciai del gruppo del Bernina. Il suo lavoro non passò inosservato tanto che due anni dopo, nel 1909, il Sangiorgi ebbe l’incarico ufficiale da parte della Commissione Scientifica del CAI di tenere sotto osservazione i quattro ghiacciai della Valmalenco (valle laterale della Valtellina): il Disgrazia, il Fora, il Vazzeda, il Ventina. Tutte le estati per vent’anni Domenico Sangiorgi si recò in quelle zone montuose e impervie per “far visita”, come diceva lui, “ai suoi quattro amici”. Fu proprio in questo periodo che egli, abituato alle escursioni sulle dolci montagne appenniniche, si impratichì delle tecniche di salita più propriamente alpinistiche, necessarie per affrontare i poderosi massicci e i ghiacciai della Valmalenco. Salite generalmente effettuate in compagnia di alpinisti e montanari valtellinesi. Frequentando quelle montagne e quegli alpinisti lombardi l’imolese Domenico Sangiorgi diventò socio della Sezione Valtellinese del CAI e divenne socio anche del Gruppo Alpinisti Lombardi Senza Guida (embrione del futuro Club Alpino Accademico Italiano ). Fino al 1931, quando passò il testimone al prof. Giuseppe Nangeroni, il Sangiorgi studiò per conto del Club Alpino Italiano i quattro ghiacciai della Valmalenco, ma anche altri importanti ghiacciai, sempre delle montagne lombarde. Le sue relazioni furono puntualmente pubblicate sulla rivista del CAI. Nel 1931, quando Sangiorgi lasciò definitivamente l’ incarico a Nangeroni, la sezione CAI di Imola era appena nata, essendo stata costituita quattro anni prima: eccone la storia.
La Prima Guerra Mondiale vide per la prima volta eserciti moderni affrontarsi in ambienti di alta montagna, dalle quote più basse fino ai ghiacciai dell’Adamello. Da una parte le truppe del Regio Esercito Italiano, dall’altra quelle dell’Imperial-Regio Esercito Austro Ungarico. I due eserciti diedero vita a un aspro, durissimo e quasi impensabile scontro sulle montagne di confine. La guerra in montagna, sulle vette scoscese, sulle ripide crode e sui grandi ghiacciai, fu terribile ed estenuante, soprattutto nei lunghi mesi invernali. Va ricordato che i combattimenti veri e propri erano giocoforza limitati ai periodi dell’anno più favorevoli dal punto di vista climatico (l’estate e l’inizio autunno); il resto del tempo era occupato soprattutto a mantenere le posizioni già faticosamente occupate, a costruire o a ripristinare le linee di rifornimento e a combattere, più che contro al nemico, contro le avversità climatiche e contro l’ ambiente inospitale dell’alta montagna.
Alcuni cittadini imolesi furono reclutati nell’esercito e inviati non nell’inferno del Carso, ma sul fronte alpino. Qui essi usufruirono proprio di questi lunghi periodi di stasi delle operazioni belliche per guardarsi attorno e ammirare le grandi montagne alpine e in particolare le spettacolari e sempre stupefacenti vette dolomitiche. Per i nostri concittadini fu sicuramente una incredibile scoperta, seppure in una situazione tanto triste e drammatica. Non è difficile per noi oggi immaginare la loro espressione di meraviglia e di stupore di fronte allo scenario delle imponenti montagne, dei ghiacciai, delle guglie e dei pinnacoli dolomitici. Lo spettacolo ai loro occhi doveva essere stato al tempo stesso maestoso e meraviglioso, tanto da far nascere nei loro animi il desiderio di tornare a visitare quelle montagne una volta finita la guerra. Così fu e nei primi anni venti alcuni imolesi, reduci dalla Grande Guerra, tornarono a salire quelle montagne che li avevano visti indossare, solo pochi anni prima, la divisa grigioverde.
Durante queste escursioni, effettuate in modo semplice, gli escursionisti imolesi entrarono in contatto con la realtà del CAI, con la sua organizzazione, con i suoi rifugi. Scoccò così l’idea di creare una sezione locale CAI anche a Imola. Detto fatto, dopo aver preso contatto con la Sede Centrale per le necessarie autorizzazioni, si diede vita al Comitato Promotore. Il più entusiasta e attivo sostenitore dell’idea fu il notaio Gualtiero Alvisi il quale radunò tutti i concittadini imolesi appassionati di montagna sabato 19 giugno 1926 nel suo studio in via Cavour 84 (oggi sede del Tribunale). Dopo aver esposto le finalità del CAI e dato lettura dello statuto essi formalmente costituirono il Comitato Promotore della sezione di Imola. Fu nominato presidente il dott. Carlo Gambetti; segretario Gino Raspadori; cassiere Pacifico Bartolotti; consiglieri Gioacchino Ginnasi, Gualtiero Alvisi, Paolo Ciotti e Giovanni Sandrini. I mesi successivi servirono al neonato Consiglio Direttivo per completare tutti gli adempimenti formali con la sede centrale. A questo punto mancava soltanto il riconoscimento ufficiale da parte del Consiglio Centrale del CAI che, nella seduta del 13 marzo 1927, svoltasi a Brescia, approvò definitivamente la costituzione della sezione imolese. Fu così che la nostra sezione fu finalmente e formalmente costituita e il 1927 fu il primo anno sociale.
Le prime attività in programma furono essenzialmente delle escursioni sulle montagne del nostro Appennino, in particolar modo nella valle del Santerno. Mete preferite erano il Monte Battaglia, La Faggiola, Monte Beni, ecc. Escursioni facili e sempre all’insegna dell’amicizia, dell’affiatamento e del buon umore. Le prime gite sulle Alpi furono, è ovvio trattandosi di un gruppo di reduci, sui luoghi della Grande Guerra; in primis il Monte Pasubio. Ma ben presto il raggio di azione si allargò a tutte le Alpi e anche agli Appennini Centrali con la salita del Gran Sasso. Oltre alle gite e alle ascensioni, altre iniziative di grande successo erano i campeggi estivi in Appennino (generalmente vicino al Monte Cimone nel modenese), effettuati utilizzando le tende tronco-coniche. Tali campeggi erano sempre molto frequentati, soprattutto dai giovani e dai giovanissimi. A questi esordi di vita sezionale, ricca di tante interessanti attività effettuate sullo slancio dell’entusiasmo iniziale, seguì l’interruzione di ogni iniziativa a causa del secondo conflitto mondiale; il fonte, come sappiamo, rimase fermo per parecchi mesi ( dal settembre 1944 all’aprile 1945 ) proprio nel nostro settore di Appennino e Imola si ritrovò nelle immediate retrovie. Ogni attività della sezione cessò, per essere rinviata a tempi migliori.
Fortunatamente anche la guerra finì e negli anni immediatamente successivi, con il ritorno alla vita normale, riprese anche la vita della sezione imolese, questa volta però sotto la guida di Appio Alvisi, figlio di Gualtiero, e anche lui notaio a Imola. Valido collaboratore di Alvisi e factotum della sezione fu Giorgio Chiocciola che, essendo l’ economo dell’Ospedale Luigi Lolli, ospitò più volte le riunioni degli associati nei locali del manicomio. Generalmente Chiocciola riuniva gli amici del CAI nel piccolo edificio della portineria, oggi adibita a bar. In quegli anni l’attività era essenzialmente escursionistica, soprattutto sulle montagne vicine, da Campigna al Monte Cimone. La fine degli anni cinquanta vide spiccare la figura di Enio Lanzoni, detto dagli amici “Paguro”. Egli fu un instancabile escursionista e un attento studioso delle nostre montagne, ma soprattutto uno dei primissimi speleologi imolesi. Insieme ad alcuni amici e compagni di avventura si interessò a tutti gli aspetti del nostro Appennino (di cui spesso proiettava le dispositive nelle scuole), ma soprattutto si appassionò alla speleologia diventando uno dei fondatori della Ronda Speleologica Imolese (R.S.I.), associazione che di lì a poco andrà a costituire un importante settore della sezione. Ancora oggi la Ronda Speleologica fondata da Lanzoni si segnala per la scoperta e l’ esplorazione di sempre nuove grotte nella Vena del Gesso.
Negli anni sessanta l’attività del CAI di Imola si concentrò soprattutto sullo sci, infatti risale al 23 dicembre 1963 la nascita dello sci club chiamato SCI-CAI Imola. Verso la metà degli anni settanta però ripresero, seppure gradualmente, anche a Imola tutte le attività che sono proprie di ogni sezione CAI. Tutto ciò grazie soprattutto alla passione di tre giovani imolesi: Massimo Marondoli, Antonio Zambrini e Roberto Paoletti, che seppero coinvolgere nelle loro iniziative numerosi amici e conoscenti. In particolare fu rilanciata l’attività escursionistica, l’alpinismo e la speleologia. Da quei giorni della metà degli anni settanta l’attività della sezione non ha fatto altro che crescere in quantità e qualità, così come è cresciuto il numero degli iscritti. Risale a quegli anni la prima segnatura, con classico segnavia “bianco rosso”, dei sentieri nell’Appennino Imolese. Contemporaneamente iniziò quella programmazione di escursioni domenicali che oggi è ormai diventata una tradizione consolidata.
Inoltre nel 1977 si diede alle stampe la primissima guida tascabile dei sentieri delle Valli Santerno, Sillaro e Senio, con allegata la relativa cartina. Ad essa hanno fatto seguito, negli anni, altre pubblicazioni, cartine e guide, fino a giungere al grande successo della guida escursionistica “Dalla Futa all’Acquacheta” (edita nell’anno 2003), realizzata in collaborazione con la sezione di Faenza. Invece al novembre 1983 va fatta risalire la nascita del giornalino “Aria di Montagna”, strumento che si è rivelato essenziale per diffondere i programmi, le iniziate e le idee del CAI a Imola. Altra testimonianza della crescita della sezione è stata la nomina dei primi istruttori titolati e di conseguenza l’inaugurazione di vari corsi. Questi si tengono anche ai nostri giorni: in particolar modo speleologia, ma anche escursionismo ed escursionismo avanzato.
Per quanto riguarda l’alpinismo, lo sci alpinismo e l’arrampicata libera invece la nostra sezione ha dato recentemente origine, insieme ad altre sezioni romagnole, ad una Scuola di Alpinismo chiamata “Pietramora”. L’allenamento e l’addestramento degli alpinisti è invece effettuato sul moderno muro d’arrampicata situato presso la palestra comunale del Sante Zennaro. Infine non va trascurato il notevole impulso che la sezione ha dato negli ultimi tempi a tutte le manifestazioni legate alla montagna. Dalle iniziative culturali alle proiezioni serali, alcune gestite direttamente dai soci, altre invece con al centro personaggi di rilievo nel mondo dell’alpinismo di oggi, due nomi fra tutti: Messner e Diemberger.
Le manifestazioni culturali invece hanno avuto il loro culmine con la grande mostra, allestita nell’anno 2002 ai Chiostri di San Domenico, dedicata a Mario Fantin, il grande documentarista-alpinista bolognese scomparso nel 1980. Infine l’ultima importante novità nella crescita della sezione è stata l’istituzione nel 2004, del premio “Città di Imola” nell’ambito del Filmfestival della Montagna e dell’Esplorazione di Trento.
Dopo la lunga e fondamentale presidenza di Giorgio Bettini, una donna, Cristina Dall’Aglio, ha assunto, nel 2007 per la prima volta, la carica, a conferma della piena parità di genere realizzata nella nostra sezione. E’ continuato l’impegno per creare una cultura dell’andare in montagna, con nuove pubblicazioni tra cui le cartine dell’alta e della bassa vallata, il patrocinio al corso “Camminare per conoscere” di Università Aperta, la collaborazione con l’ANPI per la valorizzazione dei luoghi della guerra sui nostri monti e la formazione di un numero crescente di istruttori ed accompagnatori qualificati per la didattica dei temi relativi alla montagna. La realizzazione del Parco della Vena del Gesso, obiettivo che da decenni vedeva impegnata la nostra sezione, è stata marcata dalla nostra grande escursione, nel settembre 2012, a Tossignano, guidata da Rheinold Messner.
Grande rilevanza mediatica,con ampia partecipazione di autorità e di pubblico, hanno avuto le iniziative poste in essere nella primavera-autunno del 2017, per celebrare degnamente il 90esimo anniversario della fondazione della nostra sezione.
I sei anni di presidenza di Davide Bonzi, hanno segnato un maggiore ’impegno verso i più giovani, oltre che col settore specifico dell’“alpinismo giovanile” , si è allargato con iniziative per le famiglie e le scuole. Tutte queste attività hanno evidentemente incontrato il favore del nostro pubblico e la sezione ha toccato, nel 2018, il record degli iscritti con 965 soci.
Arrivati a questo punto abbiamo ormai lasciato la “storia” della nostra sezione e siamo passati alla cronaca dei giorni d’ oggi, che tutti voi ben conoscete. Non rimane quindi che interrompere qui il racconto, però solo per adesso: certamente ci saranno altre interessanti e ricche pagine da scrivere da oggi fino al compimento del centenario, nel 2027. Quindi arrivederci al prossimo capitolo.
Gian Luigi Loreti
Dott.Antonio Zambrini